Buongiorno a tutti!
Ora non ho più nessuno a cui posso dire le poche parole che conosco in
fulfuldé!E questa è già una piccola nostalgia. Ho lasciato il giorno 8 giugno
la città di Maroua, all'Estremo Nord del Cameroun, per arrivare a Douala e
restarci per tre giorni prima di salire sull'aereo che mi avrebbe riportata a
casa.
Tre mesi volano, scorrono velocissimi: si fa in tempo ad entrare a poco a poco
nella realtà del luogo, a conoscere l'ambiente e le persone che lo abitano, a
capire come svolgere il lavoro, capire un pò di più la lingua...Ma questa
scoperta che non può avere la pretesa di considerarsi completa. E proprio
quando ti rendi conto che vorresti capire meglio questo e quello ti vedi
costretta a partire. Lasciare i colleghi, gli amici nuovi, appena incontrati, i
bambini del quartiere che già cominciavano a chiamarmi per nome.
Partire e tornare con la consapevolezza che prima di tutto questa esperienza,
anche se breve, è servita a portare un cambiamento dentro di me. Quando si
parte, giovani e senza esperienza a volte emergono fin troppo i facili
idealismi e la voglia di buttarsi completamente nella realtà del luogo; quando
si torna si cerca di analizzare con maggiore concretezza i problemi incontrati,
le difficoltà e anche i momenti belli. questo è già un grande passaggio, no?
Credo comunque che ogni esperienza sia diversa, vissuta con una sensibilità,
uno spirito di adattamento che varia a seconda della personalità di ognuno. Per
me il più bel complimento è stato, quando dopo appena un mese a Maroua un
signore mi ha chiesto da quanti anni fossi in Cameroun. O quando si stupivano
che non avessi problemi con il cibo (ringrazio il mio stomaco), con la lingua,
nelle relazioni umane.
Sono tornata venerdì 11 giugno, bianchissima e senza aver perso nemmeno mezzo
chilo. So che il cambiamento non è nel mio aspetto, ma è dentro di me e si
vedrà solo con il tempo.
Nadia
mercoledì 16 giugno 2010
ritorno dal Camerun
martedì 13 aprile 2010
Awahlidjam!
Torno a Maroua dopo una settimana trascorsa a Mouda e a Mayel-Guinnadji per fare ricerca. L’incontro con le famiglie, le donne, i giovani non è stato facile; d’altronde se fosse tutto semplice, quali soddisfazioni potrei trarre dallo studio che stiamo svolgendo?
Sono arrivata a Maroua il 12 marzo, due settimane fa. Ho lasciato volentieri la neve del mio paesino nel Nord Italia per atterrare nella Regione dell’ Estremo Nord del Cameroun, dove marzo è il mese più caldo. La gente che ho conosciuto finora si stupisce per il mio spirito d’adattamento, ma io insisto a dire che è grazie alla loro disarmante ospitalità, alla straordinaria apertura mentale ed al loro senso di condivisione se a volte mi dimentico che vengo da un altro Paese. E’ vero, soffro il caldo, ma questo non è che un piccolo particolare quando trovo che tutto il resto, dalle persone al paesaggio, mi si presenti ogni giorno come una meravigliosa scoperta.
Sono una studentessa in Cooperazione allo Sviluppo e per noi al terzo anno è previsto un periodo di tirocinio da svolgere in Italia o all’estero. Per me viaggiare è sempre stato sinonimo di incontro e di scambio con altre culture, confronto con realtà diverse dalla propria: ora sono qui ed ho la fortuna di poter vivere tutto questo. Contattando l’Associazione Incontro fra i Popoli, ho avuto infatti l’opportunità di poter svolgere lo stage presso l’Associazione Tammounde (che in lingua foulfouldé significa Speranza), con la quale lavora in partenariato.
Non essendo mai stata in Cameroun ed in Africa in generale, i primi giorni ho provato una strana sensazione trovandomi ad essere straniera in una terra dove tutto mi è nuovo: la curiosità e la voglia di conoscere, si mescola al timore di compiere qualcosa che potrebbe essere frainteso a causa della differenza culturale. Ma dopo due settimane di lavoro con i colleghi in Associazione, incontri con giovani studenti o donne al mercato, bambini che per strada gridano “nassara, nassara”, confronti con i missionari ed altri cooperanti sono molte le paure che se ne vanno, per lasciar spazio all’entusiasmo della continua scoperta.
Alcune persone con le quali comincio ad avere più confidenza mi hanno chiesto come trovo il loro Paese.
Ad essere sincera, sono molti gli aspetti che mi hanno colpita.
Una sera mi trovavo in un bar lungo la strada, avevamo ordinato del pesce da mangiare tutti insieme. Quando ormai i nostri piatti erano vuoti, è arrivata una decina di bambini al nostro tavolo e con la velocità di chi non mangia da giorni si sono divisi i resti, ciò che avevamo scartato. Non sono riuscita a dire nulla. Ero lì, impotente spettatrice dello spettacolo della miseria. Quello dei bambini di strada è un problema studiato e conosciuto. Ma non si è mai preparati quando capita di trovarsi davanti agli occhi, a pochi passi di distanza realtà così diverse da quella in cui si è abituati a vivere. Quella sera ho ricevuto uno schiaffo doloroso, che non potrò mai dimenticare.
Parlando con la gente si scoprono storie di vita affascinanti: sono rimasta impressionata dalla forza d’animo di una donna, Martine, che è riuscita a terminare gli studi nonostante l’opposizione del padre. Ora è diplomata a pieni voti, madre di quattro figli ed il suo lavoro è una vera passione: si impegna ogni giorno per far conoscere alle donne i loro diritti, perché non esistano più padri o mariti che rifiutano l’istruzione femminile.
Altro esempio è quello di Mathias, studente di geografia all’Ecole Normale: ha conosciuto diverse bambine e bambini del quartiere vicino che a causa di problemi economici e dell’analfabetismo dei genitori presentavano difficoltà a proseguire gli studi e a svolgere le lezioni. La sera dopo i corsi o quando ha un po’ di tempo libero prende la sua bici, qualche chilometro di strada, raduna i suoi “alunni” e comincia la lezione: è sicuro che il suo piccolo aiuto conterà molto per il futuro di quei bambini.
Ogni famiglia ha i suoi problemi. Come quella di Emile, che ha due fratelli sordomuti. Quando si parla con lui sembra di essere a teatro, tanto è espressivo il suo gesticolare. Ogni parola è accompagnata da un gesto della mano, da un’espressione del viso e così una volta, ridendo, gli ho detto che trovavo davvero simpatico il suo modo di parlare. Da lì ha iniziato a raccontarmi dei suoi fratellini che non possono né parlare né sentire e della sua abitudine ad usare il corpo per farsi capire. Quando sta con loro capita che ridano insieme. Dice che gli sembra di ascoltarli.
Mi è capitato anche di andare al mercato e di sentirmi a disagio per il mio pallore: i nassara, i bianchi sono turisti da spennare nel novantanove per cento dei casi. Per fortuna non ero sola, altrimenti credo mi avrebbero rincorso finché non compravo qualcosa. Però è davvero impressionante attraversare le strette stradine di terra che separano le bancarelle stracolme di vestiti, stoffe, articoli di cancelleria, frutta e cibarie di ogni tipo. Si può davvero perdere un’intera giornata e forse non sarebbe ancora sufficiente per scoprire ogni meandro, carpire con gli occhi ogni particolarità, e sentire gli odori e i suoni di questo immenso luogo di scambi e di incontri.
Se dovessi quindi spiegare come trovo il Paese che mi dovrà ospitare per altri due mesi e mezzo, forse non riuscirei a trovare un’unica risposta. Vedo cose che non sempre, nella mia testa vanno d’accordo: le persone che ho finora conosciuto sono di una gentilezza unica, che contrasta molte volte con il loro vissuto. Mi è capitato spesso di chiedermi dove trovano quell’immensa forza d’animo. Nella povertà e nella semplicità più estrema ho visto bambini giocare, ridere e divertirsi saltando la corda o cantando attorno ad un pozzo. E’ incredibile l’ospitalità di chi ti accoglie nella sua casa di paglia e fango offrendoti l’acqua, la cosa più preziosa.
Sono felice di essere appena arrivata in questo Paese che ha ancora molte storie da raccontarmi.
mercoledì 26 agosto 2009
La democrazia
George W. Bush è stato una specie di superprofeta. A differenza di quasi tutti i profeti, infatti, aveva il potere di influenzare il futuro perché rispettasse le sue profezie. Dopo l’11 Settembre, quando il presidente statunitense disse “Chi non sta con noi sta con i terroristi”, molti di noi l’hanno preso in giro, rifiutando di fare una simile scelta. Non volevamo scegliere tra George e Osama, tra l’occupazione statunitense dell’Afghanistan e il folle medioevo talebano, tra l’occupazione statunitense dell’Iraq e le feroci milizie islamiche che la combattono. La “guerra al terrore” ha creato un clima che ha permesso ai governi di tutto il mondo di approvare nuove leggi antiterrorismo per la sicurezza nazionale. Leggi in cui la definizione di “terrorista” è così vaga e ampia da poter essere applicata praticamente a chiunque. In vari paesi, nascoste dietro il linguaggio della “guerra al terrore”, sono state ripresentate con rinnovato entusiasmo vecchie divisioni manichee.
In Palestina la popolazione deve scegliere tra Hamas e l’occupazione israeliana. In India, tra il nazionalismo indù e il terrorismo islamico, tra le razzie delle multinazionali e la guerriglia maoista. In Kashmir, tra l’occupazione militare e le cellule militanti islamiche. Nello Sri Lanka, tra uno spietato stato singalese e le sentenze di morte delle Tigri tamil.
I popoli non dovrebbero essere costretti a compiere nessuna di queste scelte. Eppure sono sempre meno le persone che possono dire: “Non stiamo né con voi né con i terroristi”. Chi ha ancora questo privilegio e lo esercita, rischia di perdersi in un esercizio di pura compassione o nelle pallide banalità dei discorsi sui diritti umani, che con l’equidistanza morale tolgono urgenza politica e concretezza a queste battaglie che sono politiche, urgenti e molto concrete. Anche chi rifiuta la violenza sa bene che non si possono mettere sullo stesso piano la brutalità di un esercito dì occupazione e quella di chi gli oppone resistenza, oppure la violenza dei diseredati e quella degli approfittatori, la violenza del capitalismo delle multinazionali e quella delle comunità che lo combattono.
Anche se la propaganda sulla “guerra al terrore” vorrebbe spingerci a fare di ogni erba un fascio, è ovvio che non tutte le lotte armate sono uguali. Alcune sono di massa e, almeno di nome, rivoluzionarie. Altre no. Alcune sono apertamente sessiste e decisamente retrogade.
Nel complesso, però, non esiste qualcosa che si possa definire una lotta armata “gentile” o compassionevole.
Ci sono sempre spargimenti di sangue. C’è sempre una gran puzza. E’ così se si combatte.
Quando, sentendoci a disagio di fronte ai massacri, diciamo: “Non stiamo né con voi, né con i terroristi”, corriamo il rischio di sostenere lo status quo. D’altra parte, se rinunciamo a quella posizione, rischiamo di diventare sostenitori acritici della sottomissione delle donne, delle decapitazioni pubbliche e degli attentatori suicidi, o di chi promuove una visione del mondo ristretta, da incubo.
E’ più importante che mai criticare quelli di cui sosteniamo le battaglie, di cui capiamo la rabbia, ma di cui rifiutiamo i metodi e le idee. Al tempo stesso, dobbiamo sempre tenere presente che in una zona di guerra ogni paragrafo, ogni frase che pronunciamo verrà saccheggiata e sfruttata per la propaganda delle due fazioni rivali. Con conseguenze che possono rivelarsi spiacevoli. Il silenzio, però, non è una scelta possibile.
Da INTERNAZIONALE 794, 8 Maggio 2009
sabato 8 agosto 2009
Martina Savio da Kampene (R. D. Congo)
Ciao a tutti di IfP,
Sono arrivata a Bukavu domenica 2 agosto dopo 3 splendide settimane passate nel villaggio di Kampene - Prov. del Maniema - dal quale non volevo più venir via.
Questo piccolo angolo di mondo è sbucato dalla foresta equatoriale dopo 9 ore di moto (da Kindu, distanza 149 km...no comment) che hanno incluso:
- 1 ora di "panne" per foratura pneumatico posteriore (riparato con 500 FC+una bottiglia d'acqua potabile),
- 30 minuti di "panne" per rottura freccia posteriore destra (riparata con il mio elastico per capelli),
- 30 minuti di "pause" in un villaggio dove ci hanno offerto del vino di palma (offerta declinata gentilmente causa mosche affogate nel vino stesso...)
Ottima esperienza quella di Kampene, davvero indimenticabile. All'indomani del mio arrivo un gruppo di donne è venuto a darmi il benvenuto portandomi di fronte casa dei doni: "Martino", il pollo così chiamato in mio onore, riso e uova. In 3 settimane ho formato un pollaio, e non dico per scherzo ma sul serio, c'erano Martino, "l'Ovaiola" (gallina che mi hanno regalato altre donne e che ha deposto un uovo mentre aspettavo di rientrare in casa, da qui il nome), e "Galletto", putroppo deceduto per cause sconosciute dopo qualche giorno. Ho rifornito le riserve di riso di Mariuccia (in media erano 2 kg di riso ogni 2 giorni), e ho fatto felici una 20ina di bambini regalando loro pezzi dei 2 metri e mezzo di canna da zucchero regalatami da alcuni contadini.
Dati per la tesi ne ho raccolti a bizzeffe, ho intervistato individualmente 42 bambini, ho chiesto loro di disegnare la miniera e di rilasciare un video-messaggio per il Presidente Kabila (attività che è piaciuta molto). Inoltre, ho avuto "l'onore" e la fortuna di intervistare personalmente il Ministro delle Miniere del Maniema nonchè il Comandante della Polizia Mineraria di Kampene e il proprietario della mieniera dove ho condotto le ricerche. E' stato duro perchè ogni visita richiedeva 1h. - 1h.e mezza di camminata in mezzo alla foresta in cui di sentieri tracciati non si vedeva nemmeno l'ombra. Il primo giorno ho dovuto abbandonare per un mal di testa assurdo e mi sono scusata così: "Niko muzungu. Je suis pas habituée à ça" (Sono una bianca. Non sono abituata a questo). Gli altri giorni sono filati lisci.
A Kampene sono stata accolta in maniera unica da Mariuccia (laica italiana in RDC dal 1982) che mi ha messo a disposizione vitto e alloggio senza problemi. Abbiamo fatto frittelle, crepes, pizza, pane, empanadas de queso (come dimenticare il mio background latino-americano...), panzerotti etc. Abbiamo passeggiato per il villaggio e mi sono state offerte talmente tante capre che ho perso il conto. Insomma, è stato meraviglioso. Peccato andarsene.
Chance e Sadiki di ASDI-Kampene hanno funto da traduttori e autisti, e la loro performance è stata ottima. Sono proprio due bravi ragazzi. Concluse le ricerche ho riservato 3 giorni per la visita di ASDI stessa per conto di IfP. Ho visitato delle OB inquadrate da ASDI, degli étangs piscicoles, l'ufficio, etc. Ho preparato un rapporto ma lo invio a Leo dall'Italia dove la connessione è migliore di questa.
Bene, ora vado a cenare con lenga lenga in padella, finocchi alla mediterranea (ricetta inventata su due piedi oggi ma che ha un aspetto buonissimo) e un po' di mikate.
Un abbraccio a tutti,
pace,
Martina
mercoledì 17 giugno 2009
Intercettazioni, oltre 100mila firme per l'appello di Repubblica
Intercettazioni, oltre 100mila firme per l'appello di Repubblica
L'autore di "Gomorra": "Si cancella un importante strumento per la ricerca della verità"
Roberto Saviano
ROMA - Oltre 100mila adesioni in poche ore. Centomila cittadini che ci mettono la faccia con nome, cognome, città e professione per affermare che il disegno di legge sulle intercettazioni approvato oggi alla Camera "è incostituzionale, limita fortemente le indagini, vanifica il lavoro di polizia e magistrati, riduce la libertà di stampa e la possibilità di informare i cittadini". Cittadini qualsiasi e, insieme, intellettuali, magistrati, politici, uomini e donne di spettacolo. A cominciare da Roberto Saviano. L'autore di Gomorra ha detto: "Sulle intercettazioni ci vuole più rigore, da parte di tutti, procure e giornalisti. Questo è certo. Ma quello che sta avvendendo con questa legge è rischiosissimo. Così si cancella un importante strumento per la ricerca della verità".
FIRMA L'APPELLO
http://www.repubblica.it:80/speciale/2009/appelli/dovere-di-informare/index.html
martedì 16 giugno 2009
Le "a" dello schiavismo sociale
Ci sono persone, enti, associazioni che si dichiarano "a-confessionali", cioè che non si caratterizzano, nè sono affiliati all'una o all'altra confessione religiosa. “A-confessionali” suona un po’ come "a-religiosi", cioè al di sopra ed al di fuori delle differenti espressioni della fede che caratterizzano ogni popolo ed ogni epoca.
Difficile sarebbe potersi definire "a-fedeli" cioè senza fede, sapendo che fede etimologicamente significa "fiducia". Tutti abbiamo un credo profondo, assoluto, unico, che sostiene e dà senso alla nostra vita: un Dio di un certo tipo cui rifarsi in un certo modo, oppure un non-Dio concretizzato nel contingente quotidiano, negli affari, nei soldi, nella carriera, ecc.
Facile è essere "a-partitici", cioè al di sopra dei partiti politici più o meno effimeri, che si affiancano all'esistenza di ciascuno di noi. Impossibile è essere "a-politici". Eppure ancora oggi si sente dire: "Io di politica non me ne intendo e neppure mi interessa." Più grave è trovare enti ed associazioni che nei loro statuti sottolineano :"Il nostro è un ente, un'associazione ‘a-politica’".
Nessuna nostra azione sociale, per quanto piccola, può collocarsi al di fuori della politica. Intendo per azione sociale tutto ciò che facciamo e che ha riflessi e rapporti con le altre persone e con l'ambiente nel quale viviamo. E' il nostro essere parte di una società, che ci fa essere persone politiche. Ed ogni azione che compiamo, ogni parola che pronunciamo, ogni scelta che facciamo è uno schierarci, un fare politica, cioè un partecipare al governo della città-comunità (polis). Leggevo tempo fa un articolo che dibatteva se nei servizi igienici pubblici fosse più "ecologico" il distributore di salviette di carta (deforestazione!) o l'asciugatore ad aria calda (elettricità = inquinamento!). E' solo una scelta ecologica, magari etica, o anche politica, per il fatto che ha risvolti in tutta la collettività? Anche l'acquisto di una banana è azione politica: la scelta o il disinteresse nella scelta dell'una o dell'altra marca. Con quale impronta ecologica è prodotta quella banana? Con quale retaggio di rispetto o disprezzo dei diritti umani verso il produttore? Perfino scegliere un telegiornale rispetto ad un altro è politica. Ogni nostra scelta ha ripercussioni sull'intera collettività, orientandola verso un miglioramento o verso un peggioramento.
Ed è l'onesta di fondo che dà valore etico a qualsiasi nostra scelta. Per questo dobbiamo rispettarci, quando ci troviamo con idee e punti di vista diversi. Ma per favore non etichettiamo di "onestà di fondo" le opinioni e le scelte fondate sul disinteresse, l'indifferenza, la disinformazione, il "non so, non mi interessa, però ... io la penso così". Lo schiavo sociale fa suo e ripete quanto i media dicono, quanto afferma il politico demagogico di turno. Chi non si interessa di politica è funzionale alla politica del più forte. Quindi anche chi non si interessa fa "politica". O scegli tu o gli altri scelgono te e fanno di te lo strumento della loro "politica".
Il Consiglio comunale di Cittadella, piccola cittadina sopra Padova, chiusa ancora nelle sue rossicce mura medievali, in occasione dell'ultima guerra in Iraq, tirato fra pacifisti ed interventisti, fece una scelta salomonica: dichiarò di restare neutrale, di non schierarsi nè per la pace nè per la guerra. Alla gente che si cullava nel miracoloso benessere del nord-est, non parve vero: "Perchè pensarci. Quella guerra non è affar nostro". La neutralità, che sembrava una non-scelta, fu una grande scelta politica: "Nulla turbi il vostro quieto vivere, alla politica ci pensiamo noi!"
E che dire quando alle associazioni di volontariato viene espressamente chiesto di non prendere posizione: "Un'associazione non può schierarsi per l'uno o per l'altro, deve restare al di sopra delle parti. Chi fa del bene non deve schierarsi politicamente!". “Perchè - viene da rispondere - può schierarsi politicamente solo a chi fa del male o vuole restare amorfo?”
Sant'Ambrogio di Milano non ebbe esitazioni, quando l'imperatore Teodosio nel 390 massacrò settemila persone a Tessalonica. Ambrogio non aprì un'inchiesta, nè un dibattito con vari "distinguo". Con una lettera sdegnata costrinse l’imperatore a mesi di penitenza e ad una umiliante richiesta pubblica di perdono.
Non è concesso alle associazioni umanitarie di restare neutrali. Se si dichiarano "a-politiche", vuol dire che avvallano la politica ed i politici di turno e si assumono la corresponsabilità delle scelte. Non si può essere presenti nel mondo, nel proprio territorio, nel proprio settore operativo come meri samaritani che curano le piaghe provocate da altri, ignorandone le cause e gli attori. Prima che amorevoli samaritani, si deve essere sollecitatori di analisi critiche e promotori di azioni risolutive, che vanno a toccare la politica mondiale, la politica locale, la politica del proprio paese e l'opinione pubblica territoriale e mondiale. Disinteresse e pietismo sono decise scelte di schieramento politico, quello che avvalla e si accoda a chi genera l'ingiustizia. Nulla è isolato; tutto ci coinvolge. Di tutto siamo corresponsabili, seppure a volte non colpevoli. Diventiamo colpevoli quando ci disinteressiamo o quando ci limitiamo a curare le ferite.
Leopoldo Rebellato
mercoledì 3 giugno 2009
SRI LANKA
SRI LANKA
8 maggio 2009
Gentile Prof.Leopoldo Rebellato,
pur apprezzando l'attività che Lei svolge, ritengo che sia ingiusto schierarsi politicamente quando si vuole fare del bene; mi riferisco all'appello sul Sri Lanka, paese a cui sono molto legato.
In allegato ho scritto una lettera. Alessandro Manni
Gentile
Prof. Leopoldo Rebellato
Prima di proporre un appello e farlo pervenire alle più alte cariche istituzionali è opportuno informare gli eventuali firmatari, facendo un’analisi storica più seria e veritiera e facendo molta attenzione a non farsi condizionare politicamente e soprattutto imparando ad ascoltare tutti.
Comunque affermare che nel parlamento del Governo del Sri Lanka non ci sono parlamentari di etnia Tamil è falso, poi con praticamente non capisco che cosa intende; ad agosto 2007 fu ucciso in un attentato un parlamentare di etnia Tamil dalle Tigri. Forse con il praticamente viene inteso che il parlamentare che non appoggia la causa separatista non va bene.
Ritengo ingiusto giustificare il terrorismo, la militanza obbligatoria di uomini, bambini, bambine prostitute al servizio dell’esercito delle Tigri, estorsione di denaro ai Tamil in ogni parte del mondo, con il semplice termine: esasperazione.
I diritti già da molti anni sono stati acquisiti: lingua Tamil ufficiale, posti all’Università senza discriminazione, libera circolazione e libertà di culto con i relativi luoghi.
I processi di pace e i mediatori sono saltati a suon di bombe kamikaze e se sono stati mollati da tutti i motivi sono tanti e documentabili.
Il terrorismo non si è mai fermato, perché alle loro spalle c’è un movimento separatista con i quadri residenti in Svizzera, Australia, Inghilterra, Canada, Italia che finanziano la guerra e il proselitismo, ma i loro figli vanno nelle migliori scuole e contestualmente mandano i figli di chi è rimasto in Sri Lanka a combattere e morire per i loro sporchi interessi economici.
Non mi fraintenda professore, non mi schiero dalla parte del Governo del Sri Lanka, il gioco sporco lo hanno fatto anche loro e vorrei anch’io che finissero i massacri e che gli ultimi militanti delle Tigri si arrendessero e uscissero dalle case dei civili dove si fanno scudo, perché si illudono di lottare per dei diritti ma in realtà sono usati per perseguire sporchi interessi. Se Lei cerca la verità, la pace e la giustizia, inizi a non schierarsi perché questo è il primo passo e si ricordi che il male si può combattere con il bene.
Alessandro Manni
3 giugno 2009
Gentile signor Alessandro, eccomi tornato dal Camerun e le rispondo.
Lei mi dice che è ingiusto schierarsi politicamente quando si vuole far del bene. Perché questo? E' concesso di schierarsi politicamente solo a chi vuole fare del male o a chi vuole restare amorfo?Nessuna nostra azione sociale, per quanto piccola, può essere classificata al di fuori della "politica". E' il nostro stesso essere parte di una società, che ci fa essere persone politiche. E ogni azione o parola è una scelta, uno schierarsi. Anche solo l'acquisto di una banana, è azione politica, quindi una scelta che ha ripercussioni sull'intera collettività, orientandola verso un miglioramento o verso un peggioramento. Ed è l'onestà di fondo che dà valore etico a qualsiasi nostra scelta, per cui dobbiamo rispettarci se ci differenziamo. Il consiglio comunale del mio paese in occasione della guerra in Iraq dichiarò di restare neutrale, di non schierarsi nè per la pace, nè per la guerra. A suo avviso effettivamente, come espressione del popolo della mia città, il mio consiglio comunale non si schierò, oppure si schierò dalla parte di può che stava avvenendo, cioè della guerra, dando così un chiaro messaggio ai cittadini: "non pensateci, non è affare nostro".
Incontro fra i Popoli opera in varie zone ancora in conflitto in giro per il mondo e non è presente come mero samaritano che cura le piaghe inferte da altri, ma come sollecitatore di analisi critiche e promotore di azioni risolutive, che vanno anche a toccare la politica locale e quella del nostro paese, inclusa l'opinione pubblica del nostro territorio, perché nulla è isolato e tutto ci coinvolge. Di tutto siamo corresponsabili, seppure a volte non colpevoli. Diventiamo colpevoli quando ci disinteressiamo, appunto perché il disinteresse è una decisa scelta di schieramento politico.
In ogni luogo dove noi operiamo, siamo attenti non solo a quanto si vede, ma anche e soprattutto a quanto non è concesso di vedere. Per questo, prima di con prese di posizione, ci informiamo adeguatamente, sia attraverso le agenzie ordinarie, in particolare MISNA e i comunicati dell'UNCHR, sia grazie a persone di nostra fiducia, a volte nostri soci, che risiedono nel territorio in questione.
Non mi sembra di essere stato tenero nei confronti delle Tigri, quanto piuttosto di aver posto l'accento sulla popolazione, appoggiandomi più che sui dati statistici, sulla mia personale esperienza , che in Sri Lanka mi ha portato ad avere contatti ed incontri con la popolazione più semplice, ma anche con alte cariche istituzionali delle due parti, quindi sia a Colombo che a Kilinochchi
Non scendo in altri dettagli. mi piace però sottolineare che anche in Italia l'Università è aperta a tutti, ma chi è povero o figlio di immigrato, vi accede con difficoltà. Anche in Italia ci sono dei neri in parlamento, ma non per questo si può dire che in Italia i neri abbiano pari diritti degli autoctoni. Tornando allo Sri Lanka, forse è pur vero che sono disinformato in parte, come pure anche lei. Il governo dello Sri Lanka ha tenuto tutti all'oscuro di quello che faceva al Nord, cacciando via la delegazione norvegese ed impedendo l'accesso ai giornali. Non mi dice che nel frattempo stanava le famose Tigri e contemporaneamente distribuiva viveri alla popolazione. Veda le foto annesse, arrivate a noi grazie a qualche computer collegato a internet e funzionante con l'ultimo litro di gasolio di un generatore pirata. Chiudo invitandola a collaborare con noi nella difesa dei più poveri, dei più deboli, dei più emarginati ed esclusi. Questo è lo scopo e la missione della nostra associazione, che ci porta a volte ad alzare la voce quando le violenze sono impossibili da sopportare.
Un saluto.
Leopoldo Rebellato
3 giugno 2009
Gentile Prof.Rebellato,
essere neutri politicamente non vuole dire schierarsi; la devo contraddire. Personalmente sono un Testimone di Geova, mi sottometto alle leggi dei Governi ma non li riconosco perché sono consapevole che nessuna organizzazione umana non è in grado di portare pace e giustizia.
Per quanto riguarda il Sri Lanka, non voglio entrare nel merito della discussione a favore di qualcuno, perché le ripeto che sono neutro nelle controversie.
Comunque i norvegesi non sono stati cacciati ma se ne sono andati. Poi un governo non interviene per amore di pace e giustizia ma prettamente per interessi economici e i norvegesi non sono mai stati superpartes.
Il Sri Lanka lo conosco bene perché ho più parenti singalesi che italiani e ho tanto materiale fotografico anch'io dimostrativo.
Alessandro