martedì 20 gennaio 2009

karibu! Testimonianza di stage a Bukavu

Salve a tutti di Incontro fra i Popoli,
da qualche giorno sono tornata in Italia dopo aver passato quattro mesi a Bukavu nella regione del Sud Kivu in Repubblica Democratica del Congo.
Era la prima volta che mettevo piede in terra africana, le sensazioni e le paure sono state molteplici.
A Bukavu ho lavorato come stagista presso il Comité anti bwaki ( CAB), un ONG locale da molti anni partner di Incontro fra i Popoli.
Quando sono arrivata subito gli agenti del CAB mi hanno dato una scrivania nell’ufficio Genere che si occupa dei gruppi di donne nelle associazioni contadine.
Pian piano sono riuscita ad integrarmi nel loro lavoro ed anche nel loro modo di vivere.
Con gli agenti, gli animatori e gli agronomi ho passato gran parte del mio stage. Con loro ho vissuto nelle case del CAB per più giorni presso i villaggi fuori città.Loro mi hanno insegnato come si vive e sopravvive in Sud Kivu.
Ho incontrato molti gruppi di donne e associazioni contadine, non sono riuscita a conoscere tutte le associazioni seguite dal CAB perchè sono molteplici e spesso raggiungerle era complicato. Sono riuscita in ogni caso a conoscere alcune in modo piu approfondito. Dopo due o tre volte che andavo in un villaggio era piacevole la sensazione di non essere piu la “Mzungu” (la bianca) che attirava l’attenzione di tutti, ma semplicemente “Dada” (sorella) stagista del Comité anti-bwaki.
Lo stesso piacere di non essere piu la Mzungu lo sentivo anche in città dove dopo molti sforzi e difficoltà alla fine riuscivo a muovermi liberamente tra mercato, bancarelle, venditori ambulanti ed ad essere salutata a loro modo : Jambo Dada ( ciao sorella).
La cosa piu dura è stato adattarmi a vedere tanta poverta ed ingiustizia, uso il termine adattarsi perche credo sia impossibile per me abituarmi a tutto ciò che i miei occhi vedevano.
Nonostante io sia una studentessa di Cooperazione e Sviluppo e posso magari conoscere le cifre della mortalità infantile, l’analfabetismo, il costo della vita, posso aver letto mille libri e articoli sulle condizioni di vita degli africani, quando sono arrivata lì mi sono sentita davvero piccola piccola di fronte ai molteplici problemi che queste persone devono affrontare.
Le donne lavorano in maniera incredibile, possono fare kilometri a piedi per arrivare in città e vendere il loro sacco di carbone che quasi pesa piu di loro. Le scuole pubbliche esistono ma lo stato non paga gli insegnanti quindi l’alfabetizzazione è a carico delle famiglie.
I giovani hanno voglia di fuggire, invece di essere incoraggiati a cambiare le condizioni della loro città e dei loro paesi, vedono nella nostra modernità la sola speranza.
Vivere e condividere con loro i propri problemi credo che possa aiutarci a trovare e ricercare delle soluzioni che siano piu incisive e durabili, che partono dai loro bisogni di base per poter forse un giorno lontano arrivare ai nostri capricci, vizi e lussi.
Per questo consiglio a tutti i giovani di andare in Africa e trarne degli insegnamenti che siano benefici per loro ma anche per noi. C’è tanto da fare laggiù, ma anche tanto da imparare, ci sono dei valori nella loro ricca cultura che credo noi abbiamo quasi dimenticato: la solidarietà e l’ospitalità.
Mi viene in mente quando la mattina mi recavo all’ufficio del CAB, mi salutavano stringendomi la mano e chiedendomi come va... hai ben dormito... ti sei ben svegliata... poi nel lasciarmi per recarsi ogniuno al suo lavoro mi dicevano “on est ensemble” cio vuol dire siamo insieme, con queste parole mi esprimevano la loro grande disponibilità e solidarietà. Noi nella nostra europa siamo capaci di vivere per dieci anni in una casa senza aver mai parlato con il nostro vicino.
In Sud Kivu quando si entra in una casa ti viene detto sempre “Karibu” (benvenuto) prima di ogni altra cosa.
Un viaggio così lungo, da soli, in un altro continente, dove il clima, la cultura e l’ambiente sono diversi può suscitare delle paure, ma ora io mi sento di consigliare a tutti di andare in Africa perchè gli africani vi diranno Karibu al contrario di come facciamo noi in Europa.
Saluti a tutti
Marta Berlingeri