mercoledì 26 agosto 2009

La democrazia

George W. Bush è stato una specie di superprofeta. A differenza di quasi tutti i profeti, infatti, aveva il potere di influenzare il futuro perché rispettasse le sue profezie. Dopo l’11 Settembre, quando il presidente statunitense disse “Chi non sta con noi sta con i terroristi”, molti di noi l’hanno preso in giro, rifiutando di fare una simile scelta. Non volevamo scegliere tra George e Osama, tra l’occupazione statunitense dell’Afghanistan e il folle medioevo talebano, tra l’occupazione statunitense dell’Iraq e le feroci milizie islamiche che la combattono. La “guerra al terrore” ha creato un clima che ha permesso ai governi di tutto il mondo di approvare nuove leggi antiterrorismo per la sicurezza nazionale. Leggi in cui la definizione di “terrorista” è così vaga e ampia da poter essere applicata praticamente a chiunque. In vari paesi, nascoste dietro il linguaggio della “guerra al terrore”, sono state ripresentate con rinnovato entusiasmo vecchie divisioni manichee.
In Palestina la popolazione deve scegliere tra Hamas e l’occupazione israeliana. In India, tra il nazionalismo indù e il terrorismo islamico, tra le razzie delle multinazionali e la guerriglia maoista. In Kashmir, tra l’occupazione militare e le cellule militanti islamiche. Nello Sri Lanka, tra uno spietato stato singalese e le sentenze di morte delle Tigri tamil.
I popoli non dovrebbero essere costretti a compiere nessuna di queste scelte. Eppure sono sempre meno le persone che possono dire: “Non stiamo né con voi né con i terroristi”. Chi ha ancora questo privilegio e lo esercita, rischia di perdersi in un esercizio di pura compassione o nelle pallide banalità dei discorsi sui diritti umani, che con l’equidistanza morale tolgono urgenza politica e concretezza a queste battaglie che sono politiche, urgenti e molto concrete. Anche chi rifiuta la violenza sa bene che non si possono mettere sullo stesso piano la brutalità di un esercito dì occupazione e quella di chi gli oppone resistenza, oppure la violenza dei diseredati e quella degli approfittatori, la violenza del capitalismo delle multinazionali e quella delle comunità che lo combattono.
Anche se la propaganda sulla “guerra al terrore” vorrebbe spingerci a fare di ogni erba un fascio, è ovvio che non tutte le lotte armate sono uguali. Alcune sono di massa e, almeno di nome, rivoluzionarie. Altre no. Alcune sono apertamente sessiste e decisamente retrogade.
Nel complesso, però, non esiste qualcosa che si possa definire una lotta armata “gentile” o compassionevole.
Ci sono sempre spargimenti di sangue. C’è sempre una gran puzza. E’ così se si combatte.
Quando, sentendoci a disagio di fronte ai massacri, diciamo: “Non stiamo né con voi, né con i terroristi”, corriamo il rischio di sostenere lo status quo. D’altra parte, se rinunciamo a quella posizione, rischiamo di diventare sostenitori acritici della sottomissione delle donne, delle decapitazioni pubbliche e degli attentatori suicidi, o di chi promuove una visione del mondo ristretta, da incubo.
E’ più importante che mai criticare quelli di cui sosteniamo le battaglie, di cui capiamo la rabbia, ma di cui rifiutiamo i metodi e le idee. Al tempo stesso, dobbiamo sempre tenere presente che in una zona di guerra ogni paragrafo, ogni frase che pronunciamo verrà saccheggiata e sfruttata per la propaganda delle due fazioni rivali. Con conseguenze che possono rivelarsi spiacevoli. Il silenzio, però, non è una scelta possibile.

Da INTERNAZIONALE 794, 8 Maggio 2009

sabato 8 agosto 2009

Martina Savio da Kampene (R. D. Congo)

Ciao a tutti di IfP,
Sono arrivata a Bukavu domenica 2 agosto dopo 3 splendide settimane passate nel villaggio di Kampene - Prov. del Maniema - dal quale non volevo più venir via.
Questo piccolo angolo di mondo è sbucato dalla foresta equatoriale dopo 9 ore di moto (da Kindu, distanza 149 km...no comment) che hanno incluso:
- 1 ora di "panne" per foratura pneumatico posteriore (riparato con 500 FC+una bottiglia d'acqua potabile),
- 30 minuti di "panne" per rottura freccia posteriore destra (riparata con il mio elastico per capelli),
- 30 minuti di "pause" in un villaggio dove ci hanno offerto del vino di palma (offerta declinata gentilmente causa mosche affogate nel vino stesso...)
Ottima esperienza quella di Kampene, davvero indimenticabile. All'indomani del mio arrivo un gruppo di donne è venuto a darmi il benvenuto portandomi di fronte casa dei doni: "Martino", il pollo così chiamato in mio onore, riso e uova. In 3 settimane ho formato un pollaio, e non dico per scherzo ma sul serio, c'erano Martino, "l'Ovaiola" (gallina che mi hanno regalato altre donne e che ha deposto un uovo mentre aspettavo di rientrare in casa, da qui il nome), e "Galletto", putroppo deceduto per cause sconosciute dopo qualche giorno. Ho rifornito le riserve di riso di Mariuccia (in media erano 2 kg di riso ogni 2 giorni), e ho fatto felici una 20ina di bambini regalando loro pezzi dei 2 metri e mezzo di canna da zucchero regalatami da alcuni contadini.

Dati per la tesi ne ho raccolti a bizzeffe, ho intervistato individualmente 42 bambini, ho chiesto loro di disegnare la miniera e di rilasciare un video-messaggio per il Presidente Kabila (attività che è piaciuta molto). Inoltre, ho avuto "l'onore" e la fortuna di intervistare personalmente il Ministro delle Miniere del Maniema nonchè il Comandante della Polizia Mineraria di Kampene e il proprietario della mieniera dove ho condotto le ricerche. E' stato duro perchè ogni visita richiedeva 1h. - 1h.e mezza di camminata in mezzo alla foresta in cui di sentieri tracciati non si vedeva nemmeno l'ombra. Il primo giorno ho dovuto abbandonare per un mal di testa assurdo e mi sono scusata così: "Niko muzungu. Je suis pas habituée à ça" (Sono una bianca. Non sono abituata a questo). Gli altri giorni sono filati lisci.

A Kampene sono stata accolta in maniera unica da Mariuccia (laica italiana in RDC dal 1982) che mi ha messo a disposizione vitto e alloggio senza problemi. Abbiamo fatto frittelle, crepes, pizza, pane, empanadas de queso (come dimenticare il mio background latino-americano...), panzerotti etc. Abbiamo passeggiato per il villaggio e mi sono state offerte talmente tante capre che ho perso il conto. Insomma, è stato meraviglioso. Peccato andarsene.
Chance e Sadiki di ASDI-Kampene hanno funto da traduttori e autisti, e la loro performance è stata ottima. Sono proprio due bravi ragazzi. Concluse le ricerche ho riservato 3 giorni per la visita di ASDI stessa per conto di IfP. Ho visitato delle OB inquadrate da ASDI, degli étangs piscicoles, l'ufficio, etc. Ho preparato un rapporto ma lo invio a Leo dall'Italia dove la connessione è migliore di questa.

Bene, ora vado a cenare con lenga lenga in padella, finocchi alla mediterranea (ricetta inventata su due piedi oggi ma che ha un aspetto buonissimo) e un po' di mikate.
Un abbraccio a tutti,
pace,
Martina

mercoledì 17 giugno 2009

Intercettazioni, oltre 100mila firme per l'appello di Repubblica

Intercettazioni, oltre 100mila firme per l'appello di Repubblica
L'autore di "Gomorra": "Si cancella un importante strumento per la ricerca della verità"

Roberto Saviano
ROMA - Oltre 100mila adesioni in poche ore. Centomila cittadini che ci mettono la faccia con nome, cognome, città e professione per affermare che il disegno di legge sulle intercettazioni approvato oggi alla Camera "è incostituzionale, limita fortemente le indagini, vanifica il lavoro di polizia e magistrati, riduce la libertà di stampa e la possibilità di informare i cittadini". Cittadini qualsiasi e, insieme, intellettuali, magistrati, politici, uomini e donne di spettacolo. A cominciare da Roberto Saviano. L'autore di Gomorra ha detto: "Sulle intercettazioni ci vuole più rigore, da parte di tutti, procure e giornalisti. Questo è certo. Ma quello che sta avvendendo con questa legge è rischiosissimo. Così si cancella un importante strumento per la ricerca della verità".

FIRMA L'APPELLO
http://www.repubblica.it:80/speciale/2009/appelli/dovere-di-informare/index.html

martedì 16 giugno 2009

Le "a" dello schiavismo sociale

Ci sono persone, enti, associazioni che si dichiarano "a-confessionali", cioè che non si caratterizzano, nè sono affiliati all'una o all'altra confessione religiosa. “A-confessionali” suona un po’ come "a-religiosi", cioè al di sopra ed al di fuori delle differenti espressioni della fede che caratterizzano ogni popolo ed ogni epoca.
Difficile sarebbe potersi definire "a-fedeli" cioè senza fede, sapendo che fede etimologicamente significa "fiducia". Tutti abbiamo un credo profondo, assoluto, unico, che sostiene e dà senso alla nostra vita: un Dio di un certo tipo cui rifarsi in un certo modo, oppure un non-Dio concretizzato nel contingente quotidiano, negli affari, nei soldi, nella carriera, ecc.
Facile è essere "a-partitici", cioè al di sopra dei partiti politici più o meno effimeri, che si affiancano all'esistenza di ciascuno di noi. Impossibile è essere "a-politici". Eppure ancora oggi si sente dire: "Io di politica non me ne intendo e neppure mi interessa." Più grave è trovare enti ed associazioni che nei loro statuti sottolineano :"Il nostro è un ente, un'associazione ‘a-politica’".
Nessuna nostra azione sociale, per quanto piccola, può collocarsi al di fuori della politica. Intendo per azione sociale tutto ciò che facciamo e che ha riflessi e rapporti con le altre persone e con l'ambiente nel quale viviamo. E' il nostro essere parte di una società, che ci fa essere persone politiche. Ed ogni azione che compiamo, ogni parola che pronunciamo, ogni scelta che facciamo è uno schierarci, un fare politica, cioè un partecipare al governo della città-comunità (polis). Leggevo tempo fa un articolo che dibatteva se nei servizi igienici pubblici fosse più "ecologico" il distributore di salviette di carta (deforestazione!) o l'asciugatore ad aria calda (elettricità = inquinamento!). E' solo una scelta ecologica, magari etica, o anche politica, per il fatto che ha risvolti in tutta la collettività? Anche l'acquisto di una banana è azione politica: la scelta o il disinteresse nella scelta dell'una o dell'altra marca. Con quale impronta ecologica è prodotta quella banana? Con quale retaggio di rispetto o disprezzo dei diritti umani verso il produttore? Perfino scegliere un telegiornale rispetto ad un altro è politica. Ogni nostra scelta ha ripercussioni sull'intera collettività, orientandola verso un miglioramento o verso un peggioramento.
Ed è l'onesta di fondo che dà valore etico a qualsiasi nostra scelta. Per questo dobbiamo rispettarci, quando ci troviamo con idee e punti di vista diversi. Ma per favore non etichettiamo di "onestà di fondo" le opinioni e le scelte fondate sul disinteresse, l'indifferenza, la disinformazione, il "non so, non mi interessa, però ... io la penso così". Lo schiavo sociale fa suo e ripete quanto i media dicono, quanto afferma il politico demagogico di turno. Chi non si interessa di politica è funzionale alla politica del più forte. Quindi anche chi non si interessa fa "politica". O scegli tu o gli altri scelgono te e fanno di te lo strumento della loro "politica".
Il Consiglio comunale di Cittadella, piccola cittadina sopra Padova, chiusa ancora nelle sue rossicce mura medievali, in occasione dell'ultima guerra in Iraq, tirato fra pacifisti ed interventisti, fece una scelta salomonica: dichiarò di restare neutrale, di non schierarsi nè per la pace nè per la guerra. Alla gente che si cullava nel miracoloso benessere del nord-est, non parve vero: "Perchè pensarci. Quella guerra non è affar nostro". La neutralità, che sembrava una non-scelta, fu una grande scelta politica: "Nulla turbi il vostro quieto vivere, alla politica ci pensiamo noi!"
E che dire quando alle associazioni di volontariato viene espressamente chiesto di non prendere posizione: "Un'associazione non può schierarsi per l'uno o per l'altro, deve restare al di sopra delle parti. Chi fa del bene non deve schierarsi politicamente!". “Perchè - viene da rispondere - può schierarsi politicamente solo a chi fa del male o vuole restare amorfo?”
Sant'Ambrogio di Milano non ebbe esitazioni, quando l'imperatore Teodosio nel 390 massacrò settemila persone a Tessalonica. Ambrogio non aprì un'inchiesta, nè un dibattito con vari "distinguo". Con una lettera sdegnata costrinse l’imperatore a mesi di penitenza e ad una umiliante richiesta pubblica di perdono.
Non è concesso alle associazioni umanitarie di restare neutrali. Se si dichiarano "a-politiche", vuol dire che avvallano la politica ed i politici di turno e si assumono la corresponsabilità delle scelte. Non si può essere presenti nel mondo, nel proprio territorio, nel proprio settore operativo come meri samaritani che curano le piaghe provocate da altri, ignorandone le cause e gli attori. Prima che amorevoli samaritani, si deve essere sollecitatori di analisi critiche e promotori di azioni risolutive, che vanno a toccare la politica mondiale, la politica locale, la politica del proprio paese e l'opinione pubblica territoriale e mondiale. Disinteresse e pietismo sono decise scelte di schieramento politico, quello che avvalla e si accoda a chi genera l'ingiustizia. Nulla è isolato; tutto ci coinvolge. Di tutto siamo corresponsabili, seppure a volte non colpevoli. Diventiamo colpevoli quando ci disinteressiamo o quando ci limitiamo a curare le ferite.


Leopoldo Rebellato

mercoledì 3 giugno 2009

SRI LANKA

SRI LANKA

8 maggio 2009

Gentile Prof.Leopoldo Rebellato,
pur apprezzando l'attività che Lei svolge, ritengo che sia ingiusto schierarsi politicamente quando si vuole fare del bene; mi riferisco all'appello sul Sri Lanka, paese a cui sono molto legato.
In allegato ho scritto una lettera. Alessandro Manni

Gentile
Prof. Leopoldo Rebellato

Prima di proporre un appello e farlo pervenire alle più alte cariche istituzionali è opportuno informare gli eventuali firmatari, facendo un’analisi storica più seria e veritiera e facendo molta attenzione a non farsi condizionare politicamente e soprattutto imparando ad ascoltare tutti.
Comunque affermare che nel parlamento del Governo del Sri Lanka non ci sono parlamentari di etnia Tamil è falso, poi con praticamente non capisco che cosa intende; ad agosto 2007 fu ucciso in un attentato un parlamentare di etnia Tamil dalle Tigri. Forse con il praticamente viene inteso che il parlamentare che non appoggia la causa separatista non va bene.
Ritengo ingiusto giustificare il terrorismo, la militanza obbligatoria di uomini, bambini, bambine prostitute al servizio dell’esercito delle Tigri, estorsione di denaro ai Tamil in ogni parte del mondo, con il semplice termine: esasperazione.
I diritti già da molti anni sono stati acquisiti: lingua Tamil ufficiale, posti all’Università senza discriminazione, libera circolazione e libertà di culto con i relativi luoghi.
I processi di pace e i mediatori sono saltati a suon di bombe kamikaze e se sono stati mollati da tutti i motivi sono tanti e documentabili.
Il terrorismo non si è mai fermato, perché alle loro spalle c’è un movimento separatista con i quadri residenti in Svizzera, Australia, Inghilterra, Canada, Italia che finanziano la guerra e il proselitismo, ma i loro figli vanno nelle migliori scuole e contestualmente mandano i figli di chi è rimasto in Sri Lanka a combattere e morire per i loro sporchi interessi economici.
Non mi fraintenda professore, non mi schiero dalla parte del Governo del Sri Lanka, il gioco sporco lo hanno fatto anche loro e vorrei anch’io che finissero i massacri e che gli ultimi militanti delle Tigri si arrendessero e uscissero dalle case dei civili dove si fanno scudo, perché si illudono di lottare per dei diritti ma in realtà sono usati per perseguire sporchi interessi. Se Lei cerca la verità, la pace e la giustizia, inizi a non schierarsi perché questo è il primo passo e si ricordi che il male si può combattere con il bene.

Alessandro Manni

3 giugno 2009

Gentile signor Alessandro, eccomi tornato dal Camerun e le rispondo.
Lei mi dice che è ingiusto schierarsi politicamente quando si vuole far del bene. Perché questo? E' concesso di schierarsi politicamente solo a chi vuole fare del male o a chi vuole restare amorfo?Nessuna nostra azione sociale, per quanto piccola, può essere classificata al di fuori della "politica". E' il nostro stesso essere parte di una società, che ci fa essere persone politiche. E ogni azione o parola è una scelta, uno schierarsi. Anche solo l'acquisto di una banana, è azione politica, quindi una scelta che ha ripercussioni sull'intera collettività, orientandola verso un miglioramento o verso un peggioramento. Ed è l'onestà di fondo che dà valore etico a qualsiasi nostra scelta, per cui dobbiamo rispettarci se ci differenziamo. Il consiglio comunale del mio paese in occasione della guerra in Iraq dichiarò di restare neutrale, di non schierarsi nè per la pace, nè per la guerra. A suo avviso effettivamente, come espressione del popolo della mia città, il mio consiglio comunale non si schierò, oppure si schierò dalla parte di può che stava avvenendo, cioè della guerra, dando così un chiaro messaggio ai cittadini: "non pensateci, non è affare nostro".
Incontro fra i Popoli opera in varie zone ancora in conflitto in giro per il mondo e non è presente come mero samaritano che cura le piaghe inferte da altri, ma come sollecitatore di analisi critiche e promotore di azioni risolutive, che vanno anche a toccare la politica locale e quella del nostro paese, inclusa l'opinione pubblica del nostro territorio, perché nulla è isolato e tutto ci coinvolge. Di tutto siamo corresponsabili, seppure a volte non colpevoli. Diventiamo colpevoli quando ci disinteressiamo, appunto perché il disinteresse è una decisa scelta di schieramento politico.
In ogni luogo dove noi operiamo, siamo attenti non solo a quanto si vede, ma anche e soprattutto a quanto non è concesso di vedere. Per questo, prima di con prese di posizione, ci informiamo adeguatamente, sia attraverso le agenzie ordinarie, in particolare MISNA e i comunicati dell'UNCHR, sia grazie a persone di nostra fiducia, a volte nostri soci, che risiedono nel territorio in questione.
Non mi sembra di essere stato tenero nei confronti delle Tigri, quanto piuttosto di aver posto l'accento sulla popolazione, appoggiandomi più che sui dati statistici, sulla mia personale esperienza , che in Sri Lanka mi ha portato ad avere contatti ed incontri con la popolazione più semplice, ma anche con alte cariche istituzionali delle due parti, quindi sia a Colombo che a Kilinochchi
Non scendo in altri dettagli. mi piace però sottolineare che anche in Italia l'Università è aperta a tutti, ma chi è povero o figlio di immigrato, vi accede con difficoltà. Anche in Italia ci sono dei neri in parlamento, ma non per questo si può dire che in Italia i neri abbiano pari diritti degli autoctoni. Tornando allo Sri Lanka, forse è pur vero che sono disinformato in parte, come pure anche lei. Il governo dello Sri Lanka ha tenuto tutti all'oscuro di quello che faceva al Nord, cacciando via la delegazione norvegese ed impedendo l'accesso ai giornali. Non mi dice che nel frattempo stanava le famose Tigri e contemporaneamente distribuiva viveri alla popolazione. Veda le foto annesse, arrivate a noi grazie a qualche computer collegato a internet e funzionante con l'ultimo litro di gasolio di un generatore pirata. Chiudo invitandola a collaborare con noi nella difesa dei più poveri, dei più deboli, dei più emarginati ed esclusi. Questo è lo scopo e la missione della nostra associazione, che ci porta a volte ad alzare la voce quando le violenze sono impossibili da sopportare.
Un saluto.
Leopoldo Rebellato

3 giugno 2009

Gentile Prof.Rebellato,
essere neutri politicamente non vuole dire schierarsi; la devo contraddire. Personalmente sono un Testimone di Geova, mi sottometto alle leggi dei Governi ma non li riconosco perché sono consapevole che nessuna organizzazione umana non è in grado di portare pace e giustizia.
Per quanto riguarda il Sri Lanka, non voglio entrare nel merito della discussione a favore di qualcuno, perché le ripeto che sono neutro nelle controversie.
Comunque i norvegesi non sono stati cacciati ma se ne sono andati. Poi un governo non interviene per amore di pace e giustizia ma prettamente per interessi economici e i norvegesi non sono mai stati superpartes.
Il Sri Lanka lo conosco bene perché ho più parenti singalesi che italiani e ho tanto materiale fotografico anch'io dimostrativo.

Alessandro

domenica 10 maggio 2009

DICHIARAZIONE DI ASSISI

DICHIARAZIONE DI ASSISI

Di fronte ai respingimenti illegali e inumani che sta effettuando il governo italiano, i partecipanti al Meeting nazionale “per un’Europa di Pace”, che si è svolto nella città di San Francesco d’Assisi dall’8 al 10 maggio 2009 per iniziativa della Tavola della pace e dal Coordinamento Nazionale degli Enti Locali per la Pace e i Diritti Umani, hanno rilasciato la seguente dichiarazione:

Un governo senza umanità minaccia di toglierci la nostra umanità. Questi fatti ci offendono
e ci feriscono!
Chi non riconosce i diritti degli altri non riconosce neanche i nostri

“La decisione del governo italiano di respingere i disperati che fuggono dalla guerra, dalle torture, dalla fame e dalla miseria ci fa male, ci offende e ci ferisce. Non parliamo di immigrati ma di persone, donne, uomini e bambini. Hanno paura, freddo e fame. Ci chiedono asilo e protezione e li respingiamo senza pietà.

Come italiani, proviamo vergogna. Nessun governo si può permettere di venire meno ai doveri di solidarietà, di accoglienza e di difesa dei diritti umani che sono iscritti nella nostra carta Costituzionale e nel diritto internazionale dei diritti umani. Nessun governo può togliere a nessuno il diritto al cibo, alla salute, all’istruzione, ad un lavoro dignitoso.

Questi fatti ci offendono e ci feriscono. Così come ci sentiamo offesi e feriti da tutte quelle leggi, quei provvedimenti, quelle dichiarazioni, quelle parole velenose che stanno alimentando nel nostro paese un clima di violenza, discriminazioni, intolleranza, insofferenza, razzismo, divisione e insicurezza.

Un governo senza umanità minaccia di toglierci la nostra umanità. Non possiamo accettarlo. Senza umanità saremo tutti più poveri, insicuri e indifesi. Solo riconoscendo agli altri i diritti che vogliamo siano riconosciuti a noi, riusciremo a vivere meglio.

Per questo, mentre alcuni costruiscono muri e scavano fossati tra di noi e il resto del mondo, noi ci impegniamo ad aprire le nostre città e comunità locali, a renderle sempre più accoglienti e ospitali per tutti, per chi ci è nato e per chi è arrivato da poco. Le città in cui vogliamo vivere sono le città dei diritti umani. Città belle, accoglienti, dove si vive bene perché ci si aiuta l’un l’altro.”

I partecipanti al Meeting nazionale “per un’Europa di Pace” promosso dalla Tavola della pace e dal Coordinamento Nazionale degli Enti Locali per la Pace e i Diritti Umani

Assisi, 10 maggio 2009

mercoledì 8 aprile 2009

Ho incontrato un eroe. E’ alto un metro e cinquanta ed è musulmano.


Ero convinta che di eroi non ne esistessero più ormai.
Tutto ciò che ha a che fare con l’eroismo l’avevo chiuso in un passato di storie che ascoltavo da bambina; storie nelle quali si raccontava di super uomini con super poteri che compiono super azioni. Storie di uomini forti, mascherati, alti, muscolosi e possenti che combattono con la forza.
E se invece vi dicessi che di eroi ne esistono ancora?
Se vi dicessi che uno di questi eroi è una donna? Si, una donna musulmana, senza maschera né travestimenti, alta si e no un metro e cinquanta, le cui “armi” sono conoscenza, saggezza e dialogo. Se io vi dicessi questo, voi mi credereste?
Io ho dovuto crederci, dopo aver incontrato Shirin Ebadi, Premio Nobel per la Pace nel 2003 in visita all’Università di Tromsø mercoledì 25 febbraio 2009.
Shirin è senza dubbio la donna più coraggiosa che io abbia mai conosciuto. E’ l’eroe che pensavo non esistesse più. Il suo carisma, la sua energia e la sua determinazione sono contagiosi. La passione costante ed interminabile che mette giorno dopo giorno nella sua attività di difesa dei diritti umani è ammirevole.
La sua foga ragionata ed il suo impeto pacifico nel diffondere ciò che pensa, sono degni di stima soprattutto quando portati avanti con così tanta fermezza in un paese come l’Iran, che ha minacciato varie volte la vita di Shirin.
Già, perché non a tutti piace quello che gli eroi fanno o hanno da dire. E stato così per Shirin la cui attività di avvocato fu brutalmente attaccata fin dagli inizi. Nel lontano 1980, un anno dopo l’inizio della Rivoluzione Islamica guidata dall’autoritario braccio dell’Ayatollah Khomeini, Shirin fu costretta a lasciare la sua prestigiosa posizione di giudice (ottenuta nel 1969). Dopo vari anni di inattività, nel 1993 Shirin ottenne un permesso per praticare in privato la sua attività legale per la difesa dei diritti umani. Ma neanche questo piacque e così nel dicembre 2008, le Forze Iraniane di Sicurezza distrussero due centri di protezione di diritti umani da lei fondati. Sempre nel 2008, il suo ufficio fu messo sotto sopra e confiscato ed il primo gennaio 2009, 150 uomini perpetrarono atti di vandalismo violento contro l’edificio in cui Shirin vive e lavora distruggendone varie aree. Le forze dell’ordine non intervennero.
Eh già, essere un eroe è difficile e spesso ci si trova da soli.
Ma sapete cosa vi dico? Che Shirin non è sola. Ha milioni di persone che la sostengono da sempre nella sua lotta pacifica per la promozione non solo dei diritti umani ma della verità. Shirin Ebadi ha dimostrato alla comunità internazionale quanto valore abbia la lotta non violenta per le proprie idee e per la difesa di chi non ha voce.
Vengono i brividi quando questa piccola grande donna parla di violazione dei diritti umani, di mancata protezione di donne e bambini, di minoranze (religiose e politiche) e soprattutto di Islam e di religione. E lo fa apertamente e senza timore. Lo fa cosciente di ciò che dice in quanto musulmana. Lo fa senza violenza, ma con furore, senza armi, ma con vigore. Lo fa perché ci crede.
Nel suo ultimo discorso presso il Centro di Studi sulla Pace dell’Università di Tromsø, Shirin ricorda che per raggiungere una pace sostenibile e duratura, dobbiamo partire da noi stessi, dal nostro intimo e poi estenderci alle nostre famiglie, alla società ed infine al mondo.
Sottolinea anche il suo fine ultimo: battersi per la promozione della democrazia, della la pace e dei diritti umani. La sua voce fa eco nella stanza ed un silenzio riflessivo riempie l’aula, quando Shirin dice “Il problema dell’Iran non è l’Islam” che invece molti additano come principale responsabile delle violazioni. “Il problema è la mancanza di democrazia”.
Quanti esempi di profanazione della dignità umana esistono al mondo in paesi non musulmani? Basti pensare alla Repubblica Democratica del Congo, al Sierra Leone, allo Zimbabwe, alla Colombia e chi più ne ha più ne metta…
Combattere l’Islam come fosse esso stesso il nemico è fuorviante.
Bisogna invece, cercare un cammino non violento che metta in prima linea il rispetto di uomini, donne e bambini, la libertà di espressione e di credo. La verità e la democrazia. E se vogliamo fare questo “bisogna essere intrepidi ed avere un coraggio a tutta prova” (Gandhi).
Martina Savio

martedì 3 marzo 2009

L'acqua zampillante da una giostra


Dal discorso de L. Rebellato in occasione dell’inaugurazione del primo miniacquedotto ‘a giostra’ in Camerun il 30 gennaio 2009


L'acqua zampillante da una giostra: una novità assoluta in tutta L'Africa centrale.
Di solito una mamma africana dice al figlio: « Smettila di giocare e vieni ad aiutarmi ». Da oggi in una piccola città del Camerun, chiamata Bafia, si sentiranno le mamme dire: «Va figlio mio, va a giocare, così mi togli il peso di andare a prendere l'acqua. Tanto più l’acqua che mi procuri giocando è più pulita di tutte le altre acque, dal momento che è potabile».
E queste parole da parte delle donne verso i loro figli si sentiranno anche a Yakan, Omendé, Bokito, Batanga, Biamesse, Tobagne, Yangben, Kadang, Deuk. Un po’ più avanti anche nel Mayo Kani e forse anche in Niger, in Ciad e nella Repubblica Democratica del Congo.
Immaginatevi un insegnante, un maestro che dice: «Bambini, è l’ora del ‘lavoro manuale’: andate subito a giocare». Sì, perché saranno le scuole le prime beneficiarie di questa novità idraulica. I bambini giocando forniranno l’acqua prima di tutto alle loro stesse scuole, quindi a loro stessi e poi alle loro madri e a tutto il paese.
«L’acqua zampillante di una giostra» è il primo progetto di un programma di sviluppo concepito da due ONG gemellate dal 1993, la camerunese CAFOR (Cellule d’Appui et De FORmation) e l’italiana IfP (Incontro fra i popoli).
C’è uno scrittore camerunese di Nkongsamba, Jean Paul Pougala, che nel suo meraviglioso libro “In fuga dalle tenebre” scrive: «I grandi del mio paese si fanno arrivare l’acqua dalla Francia per alleviare la loro sete, dimenticandosi del loro popolo; mentre nel Camerun ci sarebbe l’acqua per tutti e per tutte le esigenze».
Tutto quello che oggi vediamo, un grande serbatioi d’acqua, peraltro anche artistico, due rubunetti pubblici, una bella giostra dove i bambini gicano, ecc. non è altro che la parte visibile del progetto. Come un iceberg nel Mare del Nord lo si vede solo per un terzo della sua grandezza e gli altri due terzi restano nascosti nell’acqua, così è per il progetto. Più che un progetto sull’acqua, è un progetto sui diritti umani: il diritto all’accesso all’acqua, la protezione e la valorizzazione dell’infanzia, il miglioramento dello stato sociale della donna, il miglioramento della didattica nelle scuole, la democrazia partecipativa (ogni miniacquedotto sarà gestito da un Comitato Locale di Gestione dell’Acqua), la valorizzazione della cultura locale, la diffusione dell’energia eco-compatibile, il miglioramento della salute, dell’igiene personale e della salubrità ambientale, il potenziamento dell’economia locale, la promozione dell’imprenditoria locale.
Oserei dire che questa parte invisibile è più importante di quella visibile.
Il nostro obiettivo ultimo non è di dare delle cose (la giostra, il serbatoio d’acqua, la stessa acqua), ma di condurre la popolazione ad un’acquisizione sempre più avanzata della sua responsabilità sociale e civile e del suo potere decisionale. Soprattutto noi di Incontro fra i Popoli non siamo qui per risolvere i problemi di Bafia e del Camerun, ma per facilitare i processi endogeni di cambiamento verso una vita migliore per i camerunesi, per dei rapporti migliori fra la popolazione e i suoi rappresentanti, per una umanità basata su dei rapporti di uguale dignità e opportunità tra tutti gli esseri umani.

mercoledì 25 febbraio 2009

Le aspettative di una giovane stagista


Mi chiamo Lisa Marsan e sono una studentessa di Mediazione Linguistica e Culturale presso la facoltà di Lettere e Filosofia dell’università degli studi di Padova.

Arrivato il momento di svolgere l’attività di stage, ho pensato a un’esperienza in un’associazione, dove come scopo era quello di aiutare altre persone, meno fortunate di me e dei miei coetanei.

Circa dieci anni fa ho partecipato, assieme ai miei compagni di scuola media, all’attività promossa dall'associazione “scuola di mondialità”. Attraverso un gioco, chiamato Mondopoli, ho potuto capire in modo molto semplice e chiaro, come potesse vivere un contadino del Ciad.

Mi ha colpito la capacità di trattare tematiche molto difficili e attuali in modo chiaro e soprattutto con metodi alternativi, che potessero interessare e incuriosire i ragazzi come, nel mio caso, un gioco in scatola, simile al Monopoli.

Inoltre, un mio amico ha svolto l’attività di stage presso questa ONG e in base alle attività che ha svolto, come l'attività di tutoraggio per le scuole medie, ho voluto informarmi per saperne di più e in che campi operasse.

Ho apprezzato soprattutto le iniziative del sostegno a distanza, le attività di educazione ai ragazzi in base alle fasce di età e con la descrizione dettagliata di ogni iniziativa.

Grazie al giornalino e al blog, ho potuto leggere testimonianze di ragazzi della mia età che hanno avuto esperienze formative non solo in Africa, ma pure esperienze di volontariato presso le sedi di Cittadella e Bassano del Grappa. Per questi motivi ho deciso di mandare una mail per richiedere l’attività di tirocinio.

Dallo stage mi aspetto un’esperienza formativa per il mio percorso sia lavorativo che personale. Ho scelto proprio questa ONG perché credo nei valori che vuole trasmettere e dei fini che vuole raggiungere. Sono passati ormai dieci anni da quando questa associazione è venuta nella mia classe alle scuole medie inferiori, ma ho un ricordo ancora lucido di quell’esperienza.

Proprio per questo, vorrei dare un piccolo contributo, in qualsiasi campo, per continuare a trasmettere questi valori agli altri.

martedì 20 gennaio 2009

karibu! Testimonianza di stage a Bukavu

Salve a tutti di Incontro fra i Popoli,
da qualche giorno sono tornata in Italia dopo aver passato quattro mesi a Bukavu nella regione del Sud Kivu in Repubblica Democratica del Congo.
Era la prima volta che mettevo piede in terra africana, le sensazioni e le paure sono state molteplici.
A Bukavu ho lavorato come stagista presso il Comité anti bwaki ( CAB), un ONG locale da molti anni partner di Incontro fra i Popoli.
Quando sono arrivata subito gli agenti del CAB mi hanno dato una scrivania nell’ufficio Genere che si occupa dei gruppi di donne nelle associazioni contadine.
Pian piano sono riuscita ad integrarmi nel loro lavoro ed anche nel loro modo di vivere.
Con gli agenti, gli animatori e gli agronomi ho passato gran parte del mio stage. Con loro ho vissuto nelle case del CAB per più giorni presso i villaggi fuori città.Loro mi hanno insegnato come si vive e sopravvive in Sud Kivu.
Ho incontrato molti gruppi di donne e associazioni contadine, non sono riuscita a conoscere tutte le associazioni seguite dal CAB perchè sono molteplici e spesso raggiungerle era complicato. Sono riuscita in ogni caso a conoscere alcune in modo piu approfondito. Dopo due o tre volte che andavo in un villaggio era piacevole la sensazione di non essere piu la “Mzungu” (la bianca) che attirava l’attenzione di tutti, ma semplicemente “Dada” (sorella) stagista del Comité anti-bwaki.
Lo stesso piacere di non essere piu la Mzungu lo sentivo anche in città dove dopo molti sforzi e difficoltà alla fine riuscivo a muovermi liberamente tra mercato, bancarelle, venditori ambulanti ed ad essere salutata a loro modo : Jambo Dada ( ciao sorella).
La cosa piu dura è stato adattarmi a vedere tanta poverta ed ingiustizia, uso il termine adattarsi perche credo sia impossibile per me abituarmi a tutto ciò che i miei occhi vedevano.
Nonostante io sia una studentessa di Cooperazione e Sviluppo e posso magari conoscere le cifre della mortalità infantile, l’analfabetismo, il costo della vita, posso aver letto mille libri e articoli sulle condizioni di vita degli africani, quando sono arrivata lì mi sono sentita davvero piccola piccola di fronte ai molteplici problemi che queste persone devono affrontare.
Le donne lavorano in maniera incredibile, possono fare kilometri a piedi per arrivare in città e vendere il loro sacco di carbone che quasi pesa piu di loro. Le scuole pubbliche esistono ma lo stato non paga gli insegnanti quindi l’alfabetizzazione è a carico delle famiglie.
I giovani hanno voglia di fuggire, invece di essere incoraggiati a cambiare le condizioni della loro città e dei loro paesi, vedono nella nostra modernità la sola speranza.
Vivere e condividere con loro i propri problemi credo che possa aiutarci a trovare e ricercare delle soluzioni che siano piu incisive e durabili, che partono dai loro bisogni di base per poter forse un giorno lontano arrivare ai nostri capricci, vizi e lussi.
Per questo consiglio a tutti i giovani di andare in Africa e trarne degli insegnamenti che siano benefici per loro ma anche per noi. C’è tanto da fare laggiù, ma anche tanto da imparare, ci sono dei valori nella loro ricca cultura che credo noi abbiamo quasi dimenticato: la solidarietà e l’ospitalità.
Mi viene in mente quando la mattina mi recavo all’ufficio del CAB, mi salutavano stringendomi la mano e chiedendomi come va... hai ben dormito... ti sei ben svegliata... poi nel lasciarmi per recarsi ogniuno al suo lavoro mi dicevano “on est ensemble” cio vuol dire siamo insieme, con queste parole mi esprimevano la loro grande disponibilità e solidarietà. Noi nella nostra europa siamo capaci di vivere per dieci anni in una casa senza aver mai parlato con il nostro vicino.
In Sud Kivu quando si entra in una casa ti viene detto sempre “Karibu” (benvenuto) prima di ogni altra cosa.
Un viaggio così lungo, da soli, in un altro continente, dove il clima, la cultura e l’ambiente sono diversi può suscitare delle paure, ma ora io mi sento di consigliare a tutti di andare in Africa perchè gli africani vi diranno Karibu al contrario di come facciamo noi in Europa.
Saluti a tutti
Marta Berlingeri