giovedì 24 gennaio 2008


Ciao a tutti!!
Questo articolo ve lo avevo scritto tempo fa, ma poiché solo ora ho la connessione internet eccolo!
Rieccomi qui a raccontarvi del mio viaggio. Ora come vi avevo anticipato sono a Shabunda, città persa nel mezzo della foresta equatoriali congolese. Si, persa perché non c’è strada praticabile che la colleghi a Bukavu. Il mio volo è stato molto bello, ero quasi in braccio al pilota e al copilota in un vecchio aereo polacco: antonov, e quasi abbracciavo le nuvole. La cabina di questi aerei, infatti, è grande poco più di un metro e mezzo e dietro di me l’aereo era stipato di sacchi contenenti ogni mercanzia diretta appunto a Shabunda, perché tutto quello che si trova qui arriva via aerea. Da lontano ho riconosciuto l’ansa del fiume Ulindi che cinge la città. Una virata e subito sono stato accolto dalla curiosità della gente. Qui in città ora siamo solo in tre persone bianche quindi non c’è da stupirsi se tutti i bimbi si fermano a guardarmi, a darmi la mano, o mi seguono per tutta la città nella speranza di un biscotto. Jambo Muzungo è il saluto che mi rivolgono, che in swaili significa ciao bianco.
Non vi nascondo che qui ci sono alcune difficoltà, non c’è acqua corrente e neppure l’energia elettrica che è solo di chi ha un generatore. Noi si ce l’abbiamo ma non abbiamo la benzina quindi viene acceso una o due sere alla settimana. Infatti, pure la benzina arriva da Bukavu via aerea e il costo della spedizione aerea è di 1,2 dollari al Kg, quindi arrivano solamente pochi prodotti e c’è la mancanza di molti beni di primissima necessità o se si trovano sono carissimi e non accessibili alla popolazione. Io si che potrei permettermi un po’ più di cose ma a mi fa specie anche comperarmi una birra (3 $) vedendo come mi guarda la gente. Per farvi un esempio un ananas grande il doppio dei nostri costa poco più di mezzo dollaro, e un pesce col quale mi faccio una cena può costare anche 40 centesimi di dollaro.
Per fortuna, comunque, che qui a fianco c’è un’oasi, quella dei gentilissimi padri Saveriani, che in caso io abbia bisogno mi danno una mano. Certo che sei stato veramente coraggioso a venire in questo posto perduto, mi hanno detto.
A parte l’ospedale che è stato supportato fino a pochi giorni prima che arrivassi io da Medici Senza Frontiere, le infrastrutture non esistono. Le strade sono delle vecchie carreggiate di campagna che appena piove sono impraticabili. Gli uffici pubblici sono ospitati in capanne e se serve un documento bisogna portarsi il foglio di carta dove questo verrà scritto a mano.
La maggior parte della popolazione vive ancora in capanne o casette fatte di fango o mattoni prodotti localmente e non cotti, i tetti sono quasi tutti fatti di fogli di palma e manca quasi ovunque la porta. In queste notti di temporali, molto più forti dei nostri, mi chiedo spesso come dev’essere dormire lì dentro con la pioggia che filtra, con il freddo vento notturno, senza un letto ma solo poco fieno steso sul pavimento dove dormire.
Noi non ci accorgiamo nemmeno di quanto fortunati siamo nelle nostre case dove non manca assolutamente nulla, anzi per paura di rimanere “a secco” abbiamo pure le scorte di tutto.
Ora devo proprio salutarvi perché devo uscire per una visita.

Un abbraccio e a presto.

Mirko

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