martedì 13 aprile 2010

Awahlidjam!


Torno a Maroua dopo una settimana trascorsa a Mouda e a Mayel-Guinnadji per fare ricerca. L’incontro con le famiglie, le donne, i giovani non è stato facile; d’altronde se fosse tutto semplice, quali soddisfazioni potrei trarre dallo studio che stiamo svolgendo?
Sono arrivata a Maroua il 12 marzo, due settimane fa. Ho lasciato volentieri la neve del mio paesino nel Nord Italia per atterrare nella Regione dell’ Estremo Nord del Cameroun, dove marzo è il mese più caldo. La gente che ho conosciuto finora si stupisce per il mio spirito d’adattamento, ma io insisto a dire che è grazie alla loro disarmante ospitalità, alla straordinaria apertura mentale ed al loro senso di condivisione se a volte mi dimentico che vengo da un altro Paese. E’ vero, soffro il caldo, ma questo non è che un piccolo particolare quando trovo che tutto il resto, dalle persone al paesaggio, mi si presenti ogni giorno come una meravigliosa scoperta.
Sono una studentessa in Cooperazione allo Sviluppo e per noi al terzo anno è previsto un periodo di tirocinio da svolgere in Italia o all’estero. Per me viaggiare è sempre stato sinonimo di incontro e di scambio con altre culture, confronto con realtà diverse dalla propria: ora sono qui ed ho la fortuna di poter vivere tutto questo. Contattando l’Associazione Incontro fra i Popoli, ho avuto infatti l’opportunità di poter svolgere lo stage presso l’Associazione Tammounde (che in lingua foulfouldé significa Speranza), con la quale lavora in partenariato.
Non essendo mai stata in Cameroun ed in Africa in generale, i primi giorni ho provato una strana sensazione trovandomi ad essere straniera in una terra dove tutto mi è nuovo: la curiosità e la voglia di conoscere, si mescola al timore di compiere qualcosa che potrebbe essere frainteso a causa della differenza culturale. Ma dopo due settimane di lavoro con i colleghi in Associazione, incontri con giovani studenti o donne al mercato, bambini che per strada gridano “nassara, nassara”, confronti con i missionari ed altri cooperanti sono molte le paure che se ne vanno, per lasciar spazio all’entusiasmo della continua scoperta.
Alcune persone con le quali comincio ad avere più confidenza mi hanno chiesto come trovo il loro Paese.
Ad essere sincera, sono molti gli aspetti che mi hanno colpita.
Una sera mi trovavo in un bar lungo la strada, avevamo ordinato del pesce da mangiare tutti insieme. Quando ormai i nostri piatti erano vuoti, è arrivata una decina di bambini al nostro tavolo e con la velocità di chi non mangia da giorni si sono divisi i resti, ciò che avevamo scartato. Non sono riuscita a dire nulla. Ero lì, impotente spettatrice dello spettacolo della miseria. Quello dei bambini di strada è un problema studiato e conosciuto. Ma non si è mai preparati quando capita di trovarsi davanti agli occhi, a pochi passi di distanza realtà così diverse da quella in cui si è abituati a vivere. Quella sera ho ricevuto uno schiaffo doloroso, che non potrò mai dimenticare.
Parlando con la gente si scoprono storie di vita affascinanti: sono rimasta impressionata dalla forza d’animo di una donna, Martine, che è riuscita a terminare gli studi nonostante l’opposizione del padre. Ora è diplomata a pieni voti, madre di quattro figli ed il suo lavoro è una vera passione: si impegna ogni giorno per far conoscere alle donne i loro diritti, perché non esistano più padri o mariti che rifiutano l’istruzione femminile.
Altro esempio è quello di Mathias, studente di geografia all’Ecole Normale: ha conosciuto diverse bambine e bambini del quartiere vicino che a causa di problemi economici e dell’analfabetismo dei genitori presentavano difficoltà a proseguire gli studi e a svolgere le lezioni. La sera dopo i corsi o quando ha un po’ di tempo libero prende la sua bici, qualche chilometro di strada, raduna i suoi “alunni” e comincia la lezione: è sicuro che il suo piccolo aiuto conterà molto per il futuro di quei bambini.
Ogni famiglia ha i suoi problemi. Come quella di Emile, che ha due fratelli sordomuti. Quando si parla con lui sembra di essere a teatro, tanto è espressivo il suo gesticolare. Ogni parola è accompagnata da un gesto della mano, da un’espressione del viso e così una volta, ridendo, gli ho detto che trovavo davvero simpatico il suo modo di parlare. Da lì ha iniziato a raccontarmi dei suoi fratellini che non possono né parlare né sentire e della sua abitudine ad usare il corpo per farsi capire. Quando sta con loro capita che ridano insieme. Dice che gli sembra di ascoltarli.
Mi è capitato anche di andare al mercato e di sentirmi a disagio per il mio pallore: i nassara, i bianchi sono turisti da spennare nel novantanove per cento dei casi. Per fortuna non ero sola, altrimenti credo mi avrebbero rincorso finché non compravo qualcosa. Però è davvero impressionante attraversare le strette stradine di terra che separano le bancarelle stracolme di vestiti, stoffe, articoli di cancelleria, frutta e cibarie di ogni tipo. Si può davvero perdere un’intera giornata e forse non sarebbe ancora sufficiente per scoprire ogni meandro, carpire con gli occhi ogni particolarità, e sentire gli odori e i suoni di questo immenso luogo di scambi e di incontri.
Se dovessi quindi spiegare come trovo il Paese che mi dovrà ospitare per altri due mesi e mezzo, forse non riuscirei a trovare un’unica risposta. Vedo cose che non sempre, nella mia testa vanno d’accordo: le persone che ho finora conosciuto sono di una gentilezza unica, che contrasta molte volte con il loro vissuto. Mi è capitato spesso di chiedermi dove trovano quell’immensa forza d’animo. Nella povertà e nella semplicità più estrema ho visto bambini giocare, ridere e divertirsi saltando la corda o cantando attorno ad un pozzo. E’ incredibile l’ospitalità di chi ti accoglie nella sua casa di paglia e fango offrendoti l’acqua, la cosa più preziosa.
Sono felice di essere appena arrivata in questo Paese che ha ancora molte storie da raccontarmi.

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